LA METAFISICA DI GIORGIO DE CHIRICO A PALAZZO BLU

Le Muse inquietanti, part. (credit: courtesy of Uff stampa mostra)

PISA. Sino al 5 settembre si può visitare la mostra-evento a Palazzo Blu dedicata alla Metafisica di Giorgio de Chirico, fra i maggiori artisti del Novecento. Si tratta di una rassegna ampia e articolata che consente di apprezzare l’iter compositivo del maestro di Volos.

Questo il comunicato che illustra l’evento:

De Chirico, dopo aver dato i natali alla Metafisica nel 1910, è tornato costantemente ad alimentarsi alla sua fonte, dando vita, in periodi diversi, alle stagioni della cosiddetta “seconda Metafisica” e della “Neometafisica”.

Stagioni a lungo sottovalutate, alle quali si è sovente guardato con sufficienza sulla base di un diffuso pregiudizio alimentato dal poeta André Breton –  autore del Manifesto del Surrealismo – secondo il quale un’infelice e precoce senescenza avrebbe colpito l’artista dopo le sue prime, geniali, opere metafisiche. Un’interpretazione parziale e tendenziosa che, dopo aver resistito per un lungo periodo anche in Italia, entra in crisi nei primi anni Settanta, quando un’importante retrospettiva di de Chirico a Palazzo Reale a Milano, segna un mutamento significativo nella ricezione critica della sua opera. Iniziano così una serie di autorevoli nuove interpretazioni e revisioni critiche, tese a smarcare la figura di de Chirico dal ruolo internazionalmente riconosciutogli di precursore del Surrealismo: un ruolo prestigioso ma decisamente circoscritto e riduttivo, che mira a riconoscere solo una parte ristretta della sua produzione.

L’esposizione racconta l’opera del Pictor optimus in un lungo viaggio attraverso immagini e parole; una navigazione fatta di partenze e ritorni, che hanno lasciato tracce profonde lungo l’arco del Novecento e che ancora oggi ispirano le nuove generazioni di artisti. Una mostra che permette di conoscere de Chirico grazie a una serie di disvelamenti che   aprono il sipario sui suoi enigmi, consentendo l’accesso  al suo labirintico proscenio. Uno degli elementi principali del progetto è la scoperta della collezione personale dell’artista, dei “de Chirico di de Chirico” che sono il fulcro di questa mostra, composta soprattutto da un grande numero di opere provenienti da La Galleria Nazionale di Roma – donate nel 1987 dalla moglie del pittore, Isabella – e dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.

Grazie, inoltre, al supporto delle più prestigiose istituzioni nazionali d’arte moderna, come la Pinacoteca di Brera e il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART), il progetto presenta a Palazzo Blu una serie di assoluti capolavori.

Organizzata da Fondazione Pisa insieme con MondoMostre e curata da Saretto Cincinelli e Lorenzo Canova, con la collaborazione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e de La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, l’evento espositivo ha il Patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo,della Regione Toscana e del Comune di Pisa.  Il catalogo della mostra è edito da Skira Editore.

Un video presenta la mostra

La mostra presenta le opere di tutta la prestigiosa carriera dell’artista, seguendo un percorso cronologico che attraversa il lavoro di de Chirico in ogni suo sviluppo, fase e nodi tematici. Il percorso delle opere esposte ha infatti il merito di andare dalle prime opere “böckliniane” della fine del primo decennio del Novecento agli anni Dieci della grande pittura Metafisica; dai capolavori del periodo “classico” dei primi anni Venti della “seconda metafisica” parigina, fino ai Bagni Misteriosi degli anni Trenta, alle straordinarie ricerche sulla pittura dei grandi maestri del passato riscontrabili nelle nature morte, nei nudi e negli autoritratti, realizzati tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, giungendo all’ultima, luminosa fase neometafisica che recentemente ha riscosso un grande interesse internazionale.

De Chirico immagina vedute di città antiche che si sovrappongono a visioni di città moderne riprese da luoghi di vita vissuta, prima Volos e Atene, poi Monaco di Baviera, Milano, Firenze, Torino, Parigi, Ferrara, New York, Venezia, Roma. Sono luoghi in cui lo spazio pubblico disabitato dall’uomo viene popolato da oggetti – frammenti, rovine, archi, portici, angoli di strade, muri, edifici, torri, ciminiere, treni, statue, manichini – che estraniati dal loro abituale contesto emergono con tutta la loro forza iconica diventando irreali, misteriosi, enigmatici.

Un esempio potente lo ritroviamo nel dipinto Le muse inquietanti, dove de Chirico fissa per sempre una concezione del mondo e del rapporto tra l’uomo e la realtà. Il mondo, attraverso la metafora della città di Ferrara, è un insieme di cose dominate da una fatalità illogica, un assurdo mistero a guardia del quale stanno controllori severi che solo l’intuizione poetica può penetrare.

Superata l’idea di un de Chirico geniale solo nel breve periodo che va dal 1910 al 1923, diviene possibile rileggere l’intero sviluppo della sua lunga ricerca come un lucido ed eclettico percorso attraverso le sale di un museo ideale, che dagli esordi classico-romantici, ispirati da Böcklin e Klinger, conduce alla pittura metafisica, e dal periodo “neo-barocco” del dopoguerra alla rivisitazione di se stesso e alle nuove ispirazioni della Neometafisica.

In questa progressione, anche il periodo metafisico assume un significato più organico rispetto al resto della carriera e diviene perfettamente coerente parlare – come ha ripetutamente fatto Maurizio Calvesi – di una “Metafisica continua”.

In tale contesto si colloca il grande interesse che, a partire dagli anni Sessanta, l’opera di de Chirico ha riscosso nelle giovani generazioni di artisti. Le citazioni e gli omaggi che, in modi diversi, autori del calibro di Giulio Paolini e Andy Warhol hanno dedicato all’artista sembrano avvalorare una nuova e più concettuale visione dell’intera sua opera, riconoscendo nell’autoreferenzialità della sua ricerca una sottaciuta e rigorosa componente programmatica e un premeditato disegno di poetica.

La mostra ha anche il merito di rimettere in luce quella che oggi possiamo considerare la disseminazione della visione metafisica che, inventata da de Chirico nel 1910, ha poi portato fioriture internazionali che ritroviamo nelle diramazioni di grandi artisti come Carrà, Savinio e de Pisis, ma anche di Sironi e Martini. Questi artisti, presenti in mostra grazie ad alcuni prestiti, più che formare una scuola o un movimento, hanno saputo recepire e rielaborare in modo personale la potente influenza di de Chirico che, alla metà degli anni Dieci, aveva già prodotto dei capolavori fondamentali per l’arte del Novecento, come, ad esempio le piazze d’Italia, Il Canto d’amore (1914)o Il Vaticinatore (1915).

QUESTE LE SEZIONI DELLA MOSTRA

1. Una sola moltitudine: gli Autoritratti 

La mostra ripercorre tutta la carriera di de Chirico e, pur dedicando un posto d’onore ai temi ed alle icone della Metafisica, non tralascia né gli esordi böckliniani, né le stagioni ‘classiche’, ‘barocche’, neometafisiche.

Ripercorrendo il ciclico riaffiorare di temi e soggetti cari all’artista (gli autoritratti, le piazze d’Italia, i manichini, i bagni misteriosi…) appare chiaro come anche la sottovaluta attività artistica successiva agli anni Venti abbia dato origine ad autentici capolavori.

La mostra apre sugli autoritratti: de Chirico ne realizzerà più di cento, tutti uguali e tutti diversi. In questi dipinti e nelle diverse maschere che li contraddistinguono possiamo individuare la vera chiave di volta per accostarci alla sua opera.

Così come muta la figura dell’artista in tutti gli autoritratti introduttivi della mostra, e nel celebre autoritratto nudo del 1945 che simbolicamente la chiude, così il suo stile pittorico, spiazzando continuamente gran parte della critica, non cesserà mai di evolversi e di perfezionarsi.

2. Prologo

Nella più antica opera di de Chirico, Lotta di Centauri (1909), possiamo vedere un duplice omaggio: alla propria terra natale, la Tessaglia, mitica patria di quegli esseri favolosi; e ad Arnold Böcklin, evocatore di atmosfere incantate e spettrali. Di una composizione del pittore svizzero di analogo tema vengono riprese quasi alla lettera attitudini e posture.
Nel Ritratto della madre (1911) la figura inquadrata in una finestra rappresenta una soluzione più volte praticata, evocando, con questa apertura su uno spazio indefinito, un senso di indeterminatezza e di mistero, che conferisce così al quadro un “maggiore valore metafisico”.
Anche in un genere realistico come il ritratto de Chirico inserisce un dettaglio che allude a un’apparizione enigmatica della realtà.

Era quanto aveva provato egli stesso l’anno precedente, quando in un pomeriggio d’autunno, in Piazza Santa Croce a Firenze, in uno stato di alterazione della sensibilità, le cose gli appaiono in una luce inedita e arcana, come se venissero viste per la prima volta. Era la rivelazione della Metafisica.

3 La metafisica e i suoi ritorni

La pittura metafisica di de Chirico occupa un posto centrale nel panorama artistico europeo della prima metà del XX secolo. Trasferitosi a Parigi nel 1911, l’artista inaugurerà la famosa serie delle piazze d’Italia.

Nei successivi dipinti l’artista renderà più evidente la deflagrazione del sistema prospettico, nasceranno i primi manichini: Il trovatore, Ettore e Andromaca e capolavori come Le chant d’amour, L’enigme de la fatalité (di cui sono presenti in mostra alcune fedeli repliche più tarde).

Rispetto a quelle di altri movimenti delle avanguardie artistiche, le opere dei pittori metafisici che successivamente si ispireranno alle intuizioni di de Chirico si caratterizzano per ordine e chiarezza compositiva. La potenza evocativa dell’enigma metafisico è legata a una sorta di rivelazione nella quale il mondo ci appare completamente ‘altro’, pur rimanendo sé stesso. Non casualmente de Chirico sosterrà la necessità di ‘scoprire il demone in ogni cosa’, Carrà parlerà di ‘realtà fermata‘, de Pisis di mistero delle cose e Savinio, con un ossimoro, di ‘naturalismo spettrale’.

4. Il “classicismo” e l’espansione della Metafisica 

Nel dopoguerra, sulla scena culturale italiana, si avverte un’esigenza d’ordine e di restaurazione, che induce gli artisti a ispirarsi alle fonti più autentiche e originarie del patrimonio artistico nazionale. Mentre a Parigi i suoi quadri raccolgono il plauso dei Surrealisti, anche de Chirico, in Italia, avverte la necessità di ripartire da un rinnovato studio dei maestri rinascimentali, calando le atmosfere metafisiche in nuove rivisitazioni. E mentre mette a punto in una nutrita serie di scritti le premesse teoriche della pittura metafisica, nei suoi dipinti sottopone questa pittura a un bagno di classicismo, cercando di mantenere il senso dell’enigma e del mistero in nuove composizioni ora desunte dall’esempio dei protagonisti della storia dell’arte del passato.                            Uno dei risultati più significativi di questo periodo è la Lucrezia, un’opera del 1921 ma datata e firmata 1922, in cui l’artista, come è stato notato, fonde e risolve, in una sorta di straordinario collage pittorico, numerose fonti inspirative, dalle statue classiche a Dürer.

5.  La Seconda Metafisica

Nella seconda metà degli anni Venti de Chirico, ritornato a Parigi, rinnova i temi della Metafisica traducendoli in visioni più nostalgiche e al tempo stesso più ironiche e leggere.                                             Nella “seconda Metafisica” appaiono immagini misteriose di oggetti e luoghi decontestualizzati, come accade con i Mobili in una valle e con i Paesaggi nella stanza, dove il pittore costruisce il senso di un nuovo enigma giocando negli scambi tra esterno e interno, mentre con il ciclo dei gladiatori e degli archeologi  assistiamo a una inedita rivisitazione dei suoi manichini.                                                                                    Risale a questi anni la controversia con i Surrealisti, i quali, se avevano dapprima ravvisato in de Chirico il loro precursore, non accettano i risultati delle sue nuove ricerche. In ogni caso la critica non esita a sanzionare la rilevanza internazionale di de Chirico e ad accostare il suo nome accanto a quello di Picasso come protagonista assoluto dell’arte del XX secolo.

6. Dal “realismo” al “barocco”

All’inizio degli anni Trenta de Chirico cerca di nuovo ispirazione nel museo rivisitando la storia dell’arte. Da un lato continua a operare variazioni su temi stilistici dei decenni precedenti, ma dall’altro si appassiona sempre di più allo studio della tradizione pittorica antica e al culto della “grande pittura”. Ecco allora apparire il ciclo dei nudi femminili tra i quali spicca la Bagnante coricata (Il riposo di Alcmena).

Un altro genere che coltiva particolarmente in questi anni è la natura morta, o meglio, secondo la terminologia da lui usata la “vita silente”. Intanto esce un altro straordinario ciclo “d’invenzione”: I bagni misteriosi.

La sua pittura si fa, con il progredire di queste ricerche, sempre più spessa e sontuosa, e qualcuno come Massimo Bontempelli comincia a parlare di “barocco”.

Scoppiata la seconda guerra mondiale, prosegue, pur nella precarietà e nell’angoscia per le sorti dell’Europa, le sue ricerche. Esegue il famoso Autoritratto nudo, «che è forse la pittura più completa – dice nell’edizione delle Memorie del 1945 – che io abbia eseguita finora».

7. La Neometafisica

La Neometafisica è l’ultima fase dell’opera di de Chirico che va dalla fine degli anni Sessanta alla sua morte nel 1978, un momento di grande vitalità in cui l’artista ha riletto e interpretato la pittura metafisica giovanile contaminandola con l’immenso apparato iconografico delle sue opere degli anni Venti e Trenta per ottenere nuovi risultati.

Negli ultimi anni di vita de Chirico riapre pertanto le sue prospettive, ribaltandole verso un punto di intersezione atemporale in cui i suoi personaggi e i loro oggetti, le squadre lignee e le scatole che contengono altri quadri si aprono in un gioco infinito che ripercorre tutto il suo tempo esistenziale e artistico, illuminando alcuni misteri e ricomponendone altri.

In questo contesto di nuovi e felici enigmi incontriamo dunque i nuovi interni metafisici: gli archeologi e i manichini umanizzati, i bagni misteriosi, i gladiatori, i trofei, i soli gialli e neri, i ritorni del cavaliere al castello avito, Orfeo Trovatore stanco, Ulisse che rema nella sua stanza, fino alle stanze che si aprono sulle nuove visioni di Venezia e New York.

NOTA. Testo e foto: courtesy of uff. stampa della mostra